“L’Annuncio a Maria” sulle Terrazze del Duomo di Milano

 

Un giorno la preside è arrivata nella mia classe e ha chiesto chi voleva partecipare ai provini per lo spettacolo teatrale “L’Annuncio a Maria”  di Paul Claudel. Io, seguendo un po’ il mio istinto ho alzato la mano, non credevo di riuscire ad essere scelta, pensavo solo che sarebbe comunque stato divertente.

Invece, da quel piccolo gesto è scaturita una cosa bellissima che ricorderò per tutta la vita. Certo non è stato facile, avevo molto da imparare, dato che non avevo mai seguito corsi di teatro, per me era tutto nuovo; in ogni prova che facevamo insieme imparavo qualcosa, in poche parole non ho fatto delle semplici “prove” ma un vero e proprio cammino verso la conoscenza del mio personaggio, Mara, e piano piano anche degli altri.

Lo spettacolo si è tenuto in due serate, il 31 maggio e il 3 giugno, ognuna delle quali ho vissuto in maniera diversa. La prima, è sempre la prima: è difficile recitare quando si prova una certa emozione con  la paura di sbagliare, che forse è l’errore più grave in teatro dopo “la perdita” della propria parte. Infatti gli attori professionisti ci dicevano sempre di non uscire mai dalla parte, altrimenti si perde la concentrazione e svanisce l’atmosfera che si va a creare.

La seconda serata invece è quella in cui mi sono immedesimata di più con il mio personaggio, forse perché non provavo più l’emozione travolgente della prima, anche se è una cosa risaputa che la maggior parte delle volte si tende a sottovalutare la seconda, poiché la prima la si è già fatta. Invece è proprio nei momenti in cui tutto sembra scontato in cui è più facile sbagliare.

L’atmosfera che si è creata nelle due serate era differente: perché recitare non significa ripetere le battute presenti sul copione, ma creare un vero e proprio dialogo, una situazione realistica tra i personaggi in scena, e che quindi non risulta sempre uguale.

Inoltre ogni cosa che si dice non deve perdere il suo significato, in altre parole ogni battuta esprime un sentimento e di conseguenza il modo in cui la si dice deve rispettare questa emozione, che deve arrivare al pubblico. All’atmosfera creata dalle battute ricche di significato, si aggiungeva anche il coro della nostra scuola che rendeva tutte le scene più intense.

Io penso di avere vissuto una delle esperienze più belle della mia vita, e mi meraviglio, pensando a quella mia mano, che un giorno quasi per caso ho alzato e che mi ha portata alla scoperta di un talento che non pensavo di avere.

Oggi, ripenso a quei momenti, quante emozioni tutte insieme (le mie e quelle del mio personaggio erano come fuse insieme) e mi stupisco al semplice fatto di non aver conquistato un premio oscar, ma di aver vinto un premio più grande, non paragonabile ad una statuetta di gran valore: la consapevolezza di avere scoperto una parte di me che non conoscevo e che sono disposta a coltivare. Per questo credo che prenderò lezioni di teatro.

Non sarò una filosofa di certo ma credo di poter insegnare qualcosa:  se ci si rende conto di avere un talento bisogna coltivarlo e metterlo al servizio degli altri per il bene comune, perché se si seguono i propri sogni, sbagliare è impossibile.

Letizia Mangiagalli

 

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