La Nona Sinfonia di Beethoven al Musikverein

Sabato 12 maggio alcuni ragazzi di terza hanno avuto la possibilità di recarsi al Musikverein di Vienna, una sala da concerto considerata tra le più importanti ed eleganti al mondo, per assistere all’esecuzione della Nona Sinfonia di Ludwig van Beethoven. Avevamo già ascoltato alcune parti dell’opera in classe, ma il suono e le sensazioni che abbiamo provato dal vivo erano completamente differenti.
La Nona Sinfonia è l’ultima sinfonia composta dal grande compositore romantico, fu scritta tra il 1822 e il 1824, ben dieci anni dopo l’Ottava Sinfonia. In quegli anni, Beethoven si era isolato dal mondo ed era diventato completamente sordo.
Nonostante le difficoltà, il compositore è riuscito nell’impresa di comporre un’opera magna della musica classica, che è sicuramente la più conosciuta anche fra i non amanti delle opere classiche. Tuttavia, la sua opera non fu subito acclamata dalla critica, anzi molti la considerarono rivoluzionaria e troppo fuori dagli schemi. Ovviamente fu il genio di Beethoven a non voler comporre un’opera come tutte le altre e ben presto la critica cambiò idea, considerando la nona sinfonia una delle opere più affascinanti mai scritte. Fu dunque un successo enorme, tanto che alla prima dell’opera, eseguita a Vienna nel 1824, il pubblico si mostrò colpito ed entusiasta.
Essa si costruisce in quattro movimenti: “Andante ma non troppo”, “Molto Vivace”, “Adagio molto e cantabile” e “Presto”.
Il primo movimento si apre con un sottofondo di archi e fiati, e l’inizio si crea a partire da un ripetuto intervallo di due note in progressivo crescendo, il quale introduce il motivo principale. Durante l’esecuzione si alternano fasi di quiete e vere e proprie esplosioni musicali, dominate dai violini, flauti e ottoni. Tutto ciò mi ha dato una sensazione di confusione e di caos, quasi a voler significare il contrasto interiore dell’uomo. Ho provato, nell’ascolto, emozioni molto difficili da interpretare. Il movimento si chiude, con estrema grandiosità, ripetendo il motivo portante.
Il secondo movimento invece è più sonoro e possente. Si tratta di uno “scherzo” tra gli strumenti, e mi ha trasmesso una potenza mai provata prima, grazie anche al motivo principale costituito da un salto di ottave da parte dei violini. Gli intervalli, ripetuti, sono intervallati dai timpani, che contribuiscono a disegnare un’atmosfera unica. Al suono spigoloso degli archi si contrappone quello dolce dei flauti, facendo nascere un contrasto tra i vari strumenti.
L'”Adagio molto e cantabile” smorza i toni dei precedenti due movimenti, caratterizzati dal forte impeto musicale. Nel terzo movimento, che è stato forse il più difficile da seguire, regnano le morbide melodie disegnate dai clarinetti, dai fagotti e dai flauti e anche dagli archi che si sentono come sottofondo. Sul finale si inseriscono anche i corni che restituiscono la veemenza dei primi due movimenti introducendo il quarto.
È questo il momento in cui, dopo l’iniziale confusione e stordimento, l’uomo può finalmente raggiungere la felicità e liberarsi dall’odio e dal male. Nel quarto movimento, il suono emesso dai fiati viene interrotto più volte dai violoncelli e dai contrabbassi. In questa prima parte si riprendono i motivi dei primi due movimenti, interrotti ogni volta dai bassi. Successivamente si possono udire i violini che anticipano il tema della gioia in un crescendo che diventa sempre più forte.
Inizia quindi la parte cantata nella quale un tenore, un baritono, un contralto e un soprano cantano all’unisono la prima parte dell’Inno. Alle loro spalle vi è anche un coro, che, dopo una pausa nella quale i violini richiamano il tema, iniziano a cantare tutti insieme fino a quando il direttore fa un gesto con la bacchetta ed il canto si interrompe. L’Inno alla Gioia contiene un chiaro messaggio: gli uomini devono essere fratelli, devono vivere in armonia e in pace gli uni con gli altri.
Anche dopo essere uscita dalla sala sentivo nella mia testa tutti gli strumenti che suonavano in armonia. Di sicuro è stata un’esperienza unica che sarà difficile dimenticare.

Giulia Andrea Rossi

Ascoltando la Nona Sinfonia mi è sembrato di compiere un viaggio attraverso situazioni ed emozioni contrastanti. Questa sensazione è stata certamente ampliata dalla sala del Musikverein di Vienna, in cui ho potuto ascoltarla e in cui ho potuto osservare i musicisti mentre suonavano. Ascoltare tale musica dal vivo rende queste emozioni ancora più forti e permette di comprendere la difficoltà della sua esecuzione e quindi apprezzarne ancora di più la bellezza.
Il primo movimento è arrembante, passa da toni tumultuosi a toni più pacati, come se esprimesse una contraddizione: viene da pensare alla vita di Beethoven caratterizzata da dolore e gioia, da rapporti buoni, come con due fratelli, e negativi, come con suo padre.
Anche il secondo movimento parte in crescendo, caratterizzato da una certa tensione e velocità, come se fosse il proseguimento del primo. Poi, però, lentamente si alterna con una melodia più leggera, serena come se ricordasse una danza elegante. Ritornano talvolta i tamburi con il loro suono potente, che sembra riportare l’inquietudine, ma subito dopo riprende la letizia. È come se Beethoven, rispetto all’angoscia del primo movimento, stesse cercando di trovare la pace, ricercando anche gli aspetti positivi della vita.
Nel terzo movimento Beethoven sembra aver trovato la tranquillità. Sembra di ascoltare la musica che fa da sottofondo ad alcune danze dei ballerini, come mi è capitato di vedere alla Scala di Milano. La sensazione è quella di ritrovare in questo movimento il tentativo di Beethoven di lasciarsi tutti i problemi della vita alle spalle; il finale è però caratterizzato da un nuovo innalzarsi di tono, che indica forse che il tormento nella vita rimane anche nei momenti di pace, perché fa parte di essa.
Nel quarto movimento è stato per me difficile individuare un filo logico, dal momento che in esso ho ritrovato un po’ tutte le caratteristiche degli altri movimenti, anche se la parte più tumultuosa è più contenuta. Tuttavia, l’ode dell’Inno alla gioia del poeta Friedrich von Schiller, inserita alla fine, dà un senso a tutta l’opera. Sono andato a leggere il testo dell’ode e ho subito notato che ha un contenuto religioso. Parla dell’amicizia tra gli uomini, dell’amore e alla fine richiama Dio quando dice: “Questo bacio vada al mondo intero. Fratelli, sopra il cielo stellato deve abitare un padre affettuoso”. È come se tutta la sofferenza e l’inquietudine di Beethoven di fronte ad una vita che, pur piena di soddisfazioni, gli ha dato tanti dolori, trovi una risposta in Dio, che tiene insieme le gioie e i dolori dando felicità a chi crede in Lui.
Devo dire che ho trovato questa ultima parte un po’ pesante, mentre mi è piaciuto moltissimo il primo movimento perché mi ha esaltato maggiormente. Nel sentire dal vivo questo brano ho cambiato il mio parere; infatti reputo che i movimenti centrali siano i più belli, poiché trasmettono sensazione che, sinceramente, non ho mai provato e che sono indescrivibili. Nel momento in cui sono entrato nella sala adibita al concerto, non contava per me più nulla se non il suono, la musica e gli strumenti. Addentrarmi in un’atmosfera simile è stato davvero fantastico. Per questa ragione reputo quest’esperienza una delle migliori che abbia mai vissuto.

Luca Girardi

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