Egon Schiele: un pittore che scava

La mattina del terzo giorno del viaggio di istruzione a Vienna, le tre classi si sono divise in due gruppi: il primo gruppo è andato a studiare alcuni edifici interessanti dal punto di vista architettonico, mentre il secondo gruppo è andato a vedere le opere di Schiele al Leopold Museum.
Io sono andata a vedere i quadri di Schiele, un pittore le cui opere furono inizialmente giudicate troppo forti e provocatorie dal pubblico della sua epoca. Le opere che ho preferito sono stati gli autoritratti; mi hanno colpita poiché mi hanno fatto scoprire una nuova bellezza, infatti io prima della gita credevo che solo ciò che fa sorridere potesse essere bello. Alla fine del viaggio, invece, ho scoperto una bellezza diversa: anche i quadri di Schiele possono essere belli. Per quanto non emanino felicità, sono capaci di comunicare interamente la persona e la sensibilità dell’autore, che non sé lasciato determinare dalla resistenza dell’opinione pubblica.
Gli autoritratti di questo artista colpiscono per lo sguardo magnetico e diretto verso lo spettatore: questa potenza comunicativa è segno del coraggio di Schiele e del suo bisogno estremo di esprimere sé, attraverso il dono della pittura.

Matilde Bolchi

Durante l’uscita didattica a Vienna ho avuto la possibilità di trascorrere una mattinata al Leopold Museum, nel quale sono esposti molti quadri dell’artista Egon Schiele.
Quando, ancora fra i banchi di scuola, ci è stato proposto di incontrare Schiele, è nata in me curiosità e desiderio di ricevere ciò che egli ha da trasmettere di personale e di diverso rispetto ad altri artisti. Così, sono stata felice di immergermi nel suo mondo attraverso alcuni dei suoi quadri.
In particolare, abbiamo individuato tre principali soggetti nelle opere viste: ritratti, paesaggi urbani e paesaggi naturali.
I primi che ho incontrato sono stati i ritratti, grazie ai quali ho potuto conoscere gli elementi principali del linguaggio di Schiele. Proseguendo, però, i paesaggi urbani hanno catturato totalmente la mia attenzione. Mi sono trovata di fronte a case inizialmente innocenti ma che, osservate con maggior attenzione, mettevano soggezione poiché sole, nervose e povere, ma, allo stesso tempo, capaci di regalare segni di vita, come le finestre illuminate e i panni stesi all’esterno. Le case, in questo modo, rappresentano una presenza senza raffigurarla. Questa loro caratteristica mi affascina.
Ma, nonostante le case mi avessero donato molto, ero ancora alla ricerca di un’opera che mi catturasse totalmente. Girato l’angolo, l’ho trovata: sarei rimasta a contemplarla per ore. Si tratta di Sole al tramonto, del 1910.
Innanzitutto, nell’attimo in cui lo ho vista, il mio sguardo ha notato immediatamente il rosa del sole e del cielo. Poi, si è spostato sugli alberi che incorniciano la scena, aprono un varco per il sole; i loro rami sono sottili, leggeri e fragili. Da questi, pendono foglie di un colore rosso scuro, tendente al marrone. Accanto, emergono le isole appoggiate sull’orizzonte lineare e preciso. Se osservo attentamente però, esse hanno qualcosa di strano. La luce del sole, infatti, dovrebbe coprirle, ma esse non sono in ombra. Dunque, le isole sono rappresentate come se fossero trasparenti, la luce le attraversa ma non le domina: un dettaglio a cui, a prima vista, non avevo fatto caso, ma che mi è poi rimasto impresso. Nella parte inferiore, invece, riconosco un bosco, raffigurato con diverse tonalità di verde dalle più chiare alle più scure. Nascosti e quasi invisibili sono alcuni fiorellini di un giallo tenue: non li ho riconosciuti subito, ma essi regalano un segno di vita nell’insieme del cupo bosco. Allargando la prospettiva, noto le linee verticali costituite dagli alberi, e le linee orizzontali ondeggianti che seguono la struttura del bosco. Ciò che unisce ed equilibra il quadro è l’orizzonte, che, rispetto alle altre linee, è marcato, tagliente e calcolato.
Il tramonto di Schiele non mi ha colpita per il suo essere tramonto, ma per la sua unicità. Ciò che vedo non è un tramonto come gli altri, ma un tramonto che ha un linguaggio proprio. In realtà, il cielo è malinconico, il sole sta sprofondando nel mare e il bosco è ambiguo. Proprio per questa sue caratteristiche, è particolare e rispecchia il suo autore.
Al termine della visita, Egon Schiele mi ha lasciato impressa la sua diversità. Sono uscita con la conoscenza di una bellezza diversa, un modo di rappresentare la realtà diverso e una storia diversa. Dai suoi quadri leggo tanto della sua sofferenza quanto della sua libertà nel potersi esprimere con l’arte. Schiele non vuole mostrare solamente ciò che può vedere, ma esprimere ciò che sente. Forse è proprio questo che lo rende un’artista.

Carolina Ciceri

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