È uno spazio espositivo inaugurato nel 2021 che ospita tutti i pezzi vincitori del Compasso D’Oro, il premio che dal 1954 viene assegnato alle idee più creative e utili del design italiano sviluppatosi dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Nel dopoguerra vi fu un’intera generazione di persone che con la loro creatività realizzarono un cambiamento sociale: creare e inventare oggetti d’uso quotidiano con forme e materiali nuovi per “cancellare” la distruzione portata dalla guerra.
La mostra è strutturata in box con pannelli separatori grigi e gialli divisi per annata; nei box gialli viene mostrato un singolo oggetto che è particolarmente interessante, mentre nei box grigi ci sono delle collezioni di oggetti. È importante specificare che se un oggetto è nel box giallo non vuol dire che è arrivato primo ma solo che più speciale.
Essendo che troppi oggetti sono esposti per vederli in poche ore e raccontarli in un singolo articolo, ho deciso di elogiarne alcuni per le loro caratteristiche specifiche; in sostanza, mi prendo la libertà di assegnare un premio secondario: il “Goniometro di Platino”.
I premi per le idee più innovative (per l’epoca) vanno a:
I premi per le idee più geniali (a parer mio) vanno a:
I premi per le idee più utili che vengono usate tuttora vanno a:
I premi per le idee che hanno sostituito i loro predecessori vanno a:
Molti di questi oggetti a noi non sembrano niente di speciale, ma per le persone dell’epoca erano una vera e propria rivoluzione. Pensate, cari i miei lettori, a immaginare la vostra vita senza oggetti della vita quotidiana: niente scolapasta, niente spremuta d’arancia senza un retrogusto metallico e neanche l’aria condizionata. Qui per me sta la meraviglia di fronte agli oggetti del museo: innanzitutto sono idee, sono strumenti, sono possibilità di cambiamento.
Siamo anche riusciti a ottenere una breve intervista alla nostra guida, Sara, che ci ha spiegato ogni opera con simpatia e interesse. Lei è una studentessa universitaria che ha iniziato a ottobre a lavorare al museo per fare un’esperienza che potrebbe guidare la sua strada verso il futuro. Al contrario di come qualcuno potrebbe pensare, Sara all’università non fa design, ma Scienze politiche; si è interessata all’argomento e ha scelto l’ADI come luogo in cui fare lo stage. Una delle cose che le piace di più del suo stage è osservare le opere, relazionarsi con i visitatori e, soprattutto, tentare di condividere con loro la sua passione. Il percorso di Sara è un esempio di come la scelta di uno specifico tipo di scuola arricchisca la nostra strada e il nostro percorso di formazione senza limitare le nostre passioni e precludere strade future.
Andrea Brindani