La prima cosa che ci ha detto è che nelle opere di Gaudì si vede un movimento che deriva dal fatto che ciò a cui lui si ispirava è vivo. Lo è perché è significante, lascia un segno e quindi tende ad altro, ci riporta a un significato più grande. Il secondo punto fondamentale che ci ha spiegato è stato quello dell’osservazione: osservare per riconoscere i segni e avere delle domande. Di conseguenza ci ha detto di trovare una direzione, per capire come Gaudì era capace di osservare la natura intorno a lui. Le opere di Gaudi, infatti, hanno una profondità e quindi chiedono la tua vita, chiedono di essere vissute entrando al loro interno. L’ultimo punto, “un segno nel tempo”, ci dice che le opere di Gaudì sono talmente grandi che hanno chiesto l’aiuto di tante persone e generazioni, lasciando un segno nel tempo. Quindi il preside ci ha consigliato di osservarci per come lo spazio ci indica una direzione. Questi spunti ci accompagneranno fino alla fine delle medie, fino all’esame che infatti è un’occasione di stare di fronte a una cosa grande.
Antoni Gaudì, che abbiamo conosciuto in questa gita, osservando le sue opere, nasce nel 1852 a Reus. Prende il gusto artistico dal padre che faceva lo stagnaio. Affetto da una grave malattia comincia a osservare e imitare la natura, in quanto la sua malattia non gli permetteva di muoversi. Il rapporto con la natura come creatrice è infatti, per lui, fondamentale.
La prima opera di Gaudì che siamo andati a vedere è stata la Cripta Güell. La particolarità di questa cripta è che avrebbe dovuto sostenere una chiesa di grandi dimensioni, mai realizzata perché il suo progetto venne bloccato per mancanza di finanziamenti. In essa abbiamo riconosciuto l’introduzione alla catenaria, una forma utilizzata molto spesso da Gaudì. Inoltre, abbiamo osservato i paraboloidi iperbolici, aree concave e convesse allo stesso tempo. Infine, il fatto che le colonne siano inclinate, da un lato rappresenta l’imitazione della natura, dall’altro una maggiore efficacia in ambito strutturale. In questa cripta Gaudì poté sperimentare le tecniche che avrebbe poi utilizzato alla Sagrada.
Il secondo giorno abbiamo visitato la Sagrada Familia. È una basilica, che, come dice il nome, è dedicata alla sacra famiglia: Gesù, Maria e Giuseppe. La prima cosa che siamo andati a vedere è stata la facciata della Natività. Gaudì aveva capito che non sarebbe riuscito a ultimare la basilica, così decide di progettarla tutta, ma costruire solo questa facciata come esempio per le generazioni future. Su questa facciata è rappresentata l’adorazione con i magi e i pastori, l’annunciazione, l’incoronazione di Maria, un pellicano a indicare l’amore fino al sacrificio di sé, l’albero della vita e infine una croce rossa e sulla cima una colomba.
Diletta Dindelli e Caterina Chiesa
Prima di entrare alla Sagrada sicuramente non mi aspettavo una struttura così imponente. Anche vedendola dalla terrazza della Pedrera, la Casa Milà, svetta totalmente al di sopra delle altre strutture circostanti, ma da dentro è talmente grande che non si capisce neanche fino a dove arriva effettivamente il soffitto. Le forme sono particolarissime, ma la cosa che mi ha colpito di più sono i colori, in rapporto con la luce, che hanno la particolarissima capacità di “trasformare lo spazio”. Infatti, le forme della basilica e la sua struttura sono proprio valorizzate dalla luce e dai colori.
Diletta Dindelli
Entrata nella Sagrada ho tenuto gli occhi a terra come ci aveva detto la guida, fino a quando non ci ha detto di alzare la testa. In quel momento mi sono ritrovata davanti un’esplosione di luce, colori e forme che mi hanno tenuta con la testa alzata per molto tempo. I colori erano molti, la luce non troppa, ma abbastanza, le forme così complesse come le avevo studiate, parevano semplici e belle. La luce che penetrava dalle finestre colorate portava il colore in tutta la Basilica, le colonne così alte andavano verso il Paradiso e la natura a cui Gaudì si ispirava presente.
Caterina Chiesa