Che cosa significa per te essere europeo?
Venerdì 11 marzo abbiamo incontrato Aleksej Sigov, un testimone della drammatica guerra in Ucraina, a cui abbiamo chiesto di aiutarci a comprendere ciò che sta accadendo nel suo paese. Questa è la domanda con cui ci ha salutato e che ci ha provocato profondamente.
Aleksej Sigov, 37 anni, con un dottorato in filosofia alle spalle, attualmente lavora in un’azienda di informatica a Kiev, dove vive con la sua famiglia. Poco prima che scoppiasse la guerra è riuscito a venire in Italia, dai genitori della moglie, mentre i suoi amici e parenti sono rimasti in Ucraina.
L’amore per il suo paese
Fin da subito Aleksej ha voluto sottolineare che l’Ucraina è un paese molto giovane, nato solo nel 1991 in seguito al crollo dell’Unione Sovietica. In questi anni ci sono state delle rivoluzioni, che sono state espressione del desiderio di libertà del popolo ucraino e che hanno contribuito alla costruzione di un paese “pieno di creatività e desiderio di affermare la propria identità”. Secondo lui essere cittadini di uno stato così giovane ha dei vantaggi, come la possibilità di contribuire alla formazione di questa identità, d’altra parte ci sono degli svantaggi, come le difficoltà di un governo ancora instabile, un’economia in via di sviluppo e una ricerca dei valori che si desidera affermare. Aleksej ci ha raccontato con un grande trasporto e affetto dell’amore per il suo paese, con il desiderio che il suo popolo possa un giorno fare parte dell’Europa, per lui simbolo di libertà e rispetto dei valori in cui crede.
Testimoniare
Questo momento di dialogo con Aleksej è stata una vera testimonianza, così come lui stesso l’ha descritta: “l’esperienza di chi, raccontando di sé, incontra qualcuno che è disposto ad ascoltare”. Lui ha testimoniato innanzitutto questo amore per il suo paese e per la libertà facendo riferimenti anche alla sua vita prima che scoppiasse la guerra. Adesso lui, per testimoniare quello che sta succedendo nel suo paese, si mette in contatto con gli amici e i parenti che sono rimasti a Kiev, provando ad aiutare da qui attraverso l’accoglienza e la spedizione di ciò che può servirgli.
Il pericolo nella vita di tutti i giorni
Aleksej ha raccontato che già nei giorni del periodo natalizio si temeva l’invasione russa, come un pericolo solo astratto, ma a un certo punto questo è diventato realtà. Lui ogni giorno vuole capire cosa sta accadendo e per questo ha dovuto accettare che quel pericolo è diventato la sua realtà da vivere. Per molti ucraini sta continuando la vita “normale”, con il lavoro di tutti i giorni, ma con la guerra che è entrata nella loro quotidianità. C’è chi sta continuando a lavorare, lui stesso fa riunioni con i suoi colleghi in Ucraina, ma quando arrivano degli attacchi russi loro devono rifugiarsi e interrompere ciò che stanno facendo.
Uno sguardo di dolore ma non di paura
Di fronte alla domanda “Come ti sei sentito allo scoppio della guerra?”, Aleksej ha risposto che non era spaventato o impaurito, ma pieno di dolore e sofferenza per ciò che il suo popolo sta vivendo. Per noi che lo ascoltavamo era evidente che avevamo di fronte un uomo con uno sguardo ferito, con un grande desiderio di libertà, ma senza paura o odio. Infatti ha affermato che “l’odio non è interessante” e che vuole spendere la sua vita a fare del bene invece che perdere tempo odiando i suoi nemici.
Una rete di solidarietà
L’incontro con lui è stato molto impressionante perché ci ha aperto gli occhi sulla rete di solidarietà di volontari che in questi giorni stanno soccorrendo chi è profugo e vive una condizione di abbandono di ciò che è. Perché lasciare la propria patria significa lasciare un luogo che è come un padre. I giornali raccontano solo della distruzione della guerra ma allo stesso tempo ci sono dei miracoli di bellezza di apertura, di disponibilità verso i profughi che hanno bisogno. Questa esperienza di unità può essere una nuova pagina per l’Europa, se ciascuno si lascia provocare personalmente da ciò che sta accadendo.
Abbiamo guardato insieme a lui un video che il giornalista Giorgio Sturlese Tosi, papà di un nostro compagno, ha girato proprio per noi durante il suo viaggio al confine con l’Ucraina. Questo video è stato l’occasione per renderci conto di ciò che Aleksej raccontava attraverso dei volti e delle storie particolari che il giornalista ha incontrato. Ciò che viene messo in luce è proprio quell’apertura e accoglienza che illuminano una nuova strada di sguardo sugli altri, su chi soffre ed è bisognoso.
Dalla testimonianza di Aleksej e dal video di Sturlese è stato chiaro che incontrare, accogliere, conoscere le persone che scappano dalla guerra può essere una possibilità di scoperta e arricchimento per ciascuno di noi.
In conclusione gli è stata posta la domanda “Che cosa possiamo fare noi?” Aleksej ha risposto: “Oltre agli aiuti che state già mandando, chiedetevi: cosa significa per voi essere europei?”
Questa provocazione ci indica una strada per guardare a ciò che sta succedendo con uno sguardo nuovo e più vero.